Pompei

POMPEI STORIA

La Campania e la sua terra fertile erano un'attraente meta per molte popolazioni,

giunte per terra e per mare in cerca di terreni coltivabili:

come gli Etruschi, che forse nell'801 a.C. fondarono Capua

e i Greci dell'Eubea, spinti a emigrare da sovrappopolamento

e carestie e in cerca di ferro, che fondarono molte colonie nella zona.

 

 

Luogo di passaggio obbligato tra il nord ed il sud, tra il mare e le interne ricche vallate,

ben presto Pompei divenne importante nodo viario e portuale

e pertanto, ambita preda per i potenti Greci ed Etruschi.

I primi a sottomettere Pompei furono i Greci di Cuma,

poi arrivarono gli Etruschi in piena espansione

e sul finire del quinto secolo i Sanniti

che dalla zona appenninica di Isernia

dilagarono prepotentemente verso il mare Tirreno. 

Nel 310 a.C. anche i Sanniti vennero sconfitti dai romani 

e Pompei, fu consociata al nuovo Stato.

Ribellatasi con la Lega Italica nell’89 a.C.,

venne espugnata da Silla, e pur salvandosi dalla distruzione,

perse ogni residua autonomia divenendo

«Colonia Veneria Cornelia P.» in onore del conquistatore.

La lingua ufficiale diventò il latino, cambiarono

sia le cariche pubbliche sia quelle religiose,

ma il quadro economico e culturale non cambiò.

Nonostante tante travolgenti vicissitudini politiche,

Pompei continuò incessantemente il suo sviluppo

da modesto centro agricolo a importante nodo industriale e commerciale.

Pompei, doveva essere al tempo abbastanza florida,

grazie alla ricchezza procurata dalla produzione di vino.

Le fattorie nei dintorni dovevano essere modelli

di sfruttamento razionale della terra;

inoltre i monumenti testimoniavano e testimoniano

la massima fioritura della città.

Della vita pubblica si conoscono solo pochi nomi

di uomini che ricoprivano cariche pubbliche

e che appartenevano all'aristocrazia sannitica,

di cui fu fatta strage nel corso della guerra sociale (90-89 a.C.).

Con la presa del potere da parte di Augusto, nel 27 a.C.,

ebbe inizio per Pompei un periodo di progressiva romanizzazione

della vita sociale e culturale e delle tradizioni;

ciò significò la restaurazione delle antiche famiglie indigene,

diventate filoromane, che fraternizzarono

con i nuovi arrivati tramite matrimoni e adozioni.

 

Questi nuovi potenti furono molto legati alla casa imperiale

e istituirono un culto imperiale amministrato dai loro liberti o servi.

Essi si fecero promotori della cultura di Roma,

introducendo nuovi modelli architettonici e artistici.

Il periodo di relativa pace presente sotto Augusto 

favorì il commercio interregionale,e in special modo

quello marittimo; con la conseguente dilatazione del benessere

aumentò anche l'importazione di prodotti stranieri.

Verso la fine dell'impero di Caligola si dovette verificare a Pompei

una crisi per noi non di chiaro significato.

Con l'avvento di Nerone sembra che la crisi fosse risolta<

e la vita dovette procedere tranquillamente fino al 59 d. C.,

l'anno in cui l'imperatore fece uccidere la madre Agrippina presso Bacoli.

In quell'anno scoppiò una rissa tra Pompeiani e Nocerini nell'anfiteatro di Pompei.

 

 

 

Il fatto ebbe vasta risonanza, perfino a Roma. 

La prima vera grande sciagura sopravvenne 

con il terribile terremoto del 62 d.C.,

che ridusse la città a un cumulo di macerie.

Il 5 febbraio del 62 d. C. infatti, un disastroso sisma colpì Pompei

e parecchie città della zona, tra le quali Ercolano.

L'epicentro fu a Pompei. I danni furono ingenti.

Ancora al momento dell'eruzione del Vesuvio, nel 79 d. C.,

si stava provvedendo ai restauri e ricostruzioni.

I più ricchi si erano sicuramente trasferiti altrove:

gli altri si erano sistemati in alloggi di fortuna.

In questo periodo di tempo la città, da centro economico della zona,

si era trasformata in un cantiere di costruzione,

nel quale l'attività principale non era più il commercio.

Non si sa se, e in che modo, Nerone prima e Vespasiano poi

intervennero per ridare un volto alla città.

Pompei era ricca, non ci dovette essere 

mancanza di fondi per le necessità del momento.

Di sicuro però difficoltà politiche e amministrative non mancarono. 

Ma quando già si stava provvedendo ad ultimare

e ad ampliare i templi, improvvisa sopraggiunse

la seconda e irreparabile sciagura:

il Vesuvio, da secoli considerato un vulcano spento

e quindi ricco di vigneti e di ville rustiche e di residenze sontuose,

il 24 agosto (per i naturalisti il 24 novembre) del 79 d.C.,

poco dopo mezzogiorno, si ridestò improvviso

ed esplose con una potenza inesorabilmente distruttrice.

I Pompeiani videro una nuvola a forma di pino

aleggiare sul cono del Vesuvio.

Verso le dieci il tappo di lava solidificata 

che ostruiva la fuoriuscita di materiale eruttivo,

si spaccò sotto la spinta dei gas e si frantumò in aria.

Rapidamente sulle fiamme che salivano altissime

si distese una immensa e nera nuvola che oscurò il sole.

Un diluvio di lapilli e scorie incandescenti si riversò su Pompei

e per un raggio di 70 km.

Crollarono mura e tetti e poi un’ondata di cenere

mista ad acqua, cancellò ogni forma di vita.

Nel buio continuo la scena apocalittica era esaltata dai fulmini,

terremoti e maremoti; i pochi superstiti che cercarono scampo

verso Stabia e Nocera vennero raggiunti e uccisi

dai gas velenosi che si propagarono ovunque.

Altri restarono schiacciati dai tetti delle case,

crollati sotto il peso dei lapilli 

Questo inferno durò tre giorni e poi tutto fu silenzio.

Una coltre di morte, con cinque o sei metri di spessore,

si stese da Ercolano a Stabia.

Fu una vera tragedia.

L'imperatore Tito istituì un'apposita commissione per i soccorsi in Campania.

Ma Pompei restò sommersa, anche se nella zona non mancano sepolture

e costruzioni fondate sullo strato eruttivo.

Il racconto circostanziato del tragico evento, nelle sue varie fasi,

ci è stato tramandato da un testimone oculare d'eccezione,

Plinio il Giovane, che, in due lettere indirizzate a Tacito,

su richiesta di quest'ultimo, ne dà una descrizione impressionante

scrivendo: 

«il cui aspetto e forma nessun albero

può rappresentare meglio di un pino».

Egli, inoltre descrisse anche le vicissitudini

e la fine tragica dello zio (Plinio il Vecchio)

che, trascinato dalla passione scientifica, era accorso con una nave

ad osservare da vicino lo spaventoso fenomeno

e morì per soccorrere e rincuorare l’amico Pomponiano. 

Il Vesuvio rimase desto per secoli e secoli sino ai giorni nostri;

le altre città furono ricostruite più o meno nello stesso posto,

ma Pompei non risorse più quasi per duemila anni.

Sciacalli e cercatori di tesori trafugarono per quanto possibile

i resti ancora affioranti, poi Pompei venne dimenticata

e se ne perse ogni traccia.

Milleseicento anni passano prima che se ne incontrino

le prima vestigia e altri centocinquanta anni

perché si abbia la sensazione della scoperta della città.

Gli scavi iniziarono sotto i Borboni, ma solo 

per depredare la città delle opere più interessanti,

opere che ben presto formarono il grande Museo Nazionale di Napoli.

Ai primi dell’Ottocento, scavi ancora affrettati 

misero in luce il Foro riducendolo a poco più di un cumulo di rovine.

L’eccezionale stato di conservazione venne in parte

recuperato con Giuseppe Fiorelli nel 1860.

Questi diede inizio a scavi sistematici e accorti 

e fu il primo a rilevare le impronte

colando il gesso nello spazio lasciato dalle sostanze organiche 

dissoltesi nel lapillo compatto; con questo sistema

ripresero forma i corpi degli uomini e degli animali,

di piante, di oggetti polverizzatisi millenovecento anni prima.

Nei decenni che seguono, l’opera di restauro e di ripristino

raggiunse livelli eccezionali e sin dal 1909, con Vittorio Spinazzola,

gli edifici furono ripristinati dal tetto alle fondamenta ed ogni cosa,

salvatasi per tanti secoli sotto il lapillo, ritornò alla luce.

Questo tipo di scavo sempre più perfetto proseguì

nella città ancora non scoperta (circa il 25%)

e così Pompei, ha cominciato a risorgere miracolosamente,

quasi si ridestasse dopo un sonno di diciannove secoli,

dove ai vecchi abitanti operosi e appassionati

si sono sostituiti visitatori da tutte le parti del mondo .

Purtroppo negli ultimi anni l'incuria ed il disinteresse

hanno fatto si che molte opere d'arte siano andate perdute.

Non c'è giorno in cui non si senta parlare di crolli

che stanno per attuare quello che il Vesuvio non è riuscito a fare:

la distruzione di un sito unico al mondo

in cui si può toccare con mano l'antica civiltà pompeiana.

Un luogo in cui, passeggiando per le antiche strade,

sembra quasi di vedere i cittadini nella loro quotidianità.

La città sin dai tempi dei Sanniti era divisa in nove zone

da due arterie longitudinali (decumani) e due arterie trasversali (cardini);

ogni zona o regione corrispondeva all’incirca ad un quartiere

con proprie feste rionali, programmi elettorali 

e caratteristiche economiche e commerciali.

Presso le porte cittadine e attorno al Foro sorgevano alberghi

(«Hospitia») e rimesse per gli animali («stabula»);

sulle vie principali abbondavano osterie «cauponae»)

e gli antenati dei bar («thermopolia»).

Ogni edificio aveva la propria cisterna alimentata dai tetti a compluvio;

Roma costruì una deviazione dell’acquedotto augusteo del Senno

e l’acqua venne distribuita alle terme,

alle fontane pubbliche e alle abitazioni più ricche.

Poche erano le fognature e quasi tutte serventi le latrine pubbliche;

le abitazioni si servivano di singoli pozzi assorbenti.

Pompei aveva circa 20.000 abitanti tra cui numerosi mercanti,

liberti e schiavi, (di origine campana, greca e asiatica)

e meno numerose famiglie patrizie

(di origine sannitica o di immigrazione romana).

Il ceto mercantile andava dilagando sempre più nella città

a tal punto che le vecchie residenze si stringevano

o scomparivano del tutto invase da nuovi negozi e industrie;

come pure i nuovi arricchiti adattavano a ricche residenze 

le severe case sannitiche, spesso unendo anche due o tre vecchi alloggi.

Negli ultimi anni, con la "pace augustea" 

e il decadimento di ogni necessità difensiva,

le costruzioni iniziarono ad invadere e a scavalcare le possenti mura.

Pompei era governata da due reggenti («duoviri») in carica per cinque anni.

Collaboratori erano i due «aediles»

(preposti all’igiene, ai pubblici spettacoli,al mercato

ed al vettovagliamento della città) e il consiglio supremo

(«ordo decurionum») formato da cento pompeiani eletti per meriti speciali.

Tutte le notizie interessanti della vita cittadina come elezioni, spettacoli

e annunci economici, venivano reclamizzate da apposite scritte

e disegni eseguiti da esperti «scriptores» sulle pareti di tutti gli edifici.

Ben più numerose le scritte graffite sui muri; queste ultime appaiono

come un interminabile quaderno d’appunti dove tutti scrivono:

bottegai, innamorati, studenti, tifosi sportivi,

turisti di quei tempi ed anche lenoni e lestofanti.

É una marea di rapidi appunti con i quali centinaia di creature

sembrano ancora parlare con noi di comuni problemi di vita quotidiana

in una lingua di duemila anni fa.